Intervista di Valerio Rocchetti
In Eki 05, dedicato all’eros e alla luce, abbiamo presentato un’intervista a Paolo La Marca e Livio Tallini, direttori delle collane manga di Coconino Press, di cui vi proponiamo qui la versione integrale. La scelta di questi ospiti non è casuale: la redazione di Coconino Press ha svolto un ruolo fondamentale nel recupero, traduzione e diffusione delle opere del compianto Kamimura Kazuo, uno dei più grandi mangaka della storia del fumetto. L’artista, attivo tra gli anni ’60 e ’80, è stato il massimo esponente del gekiga, probabilmente la corrente letteraria della storia del fumetto giapponese più rivoluzionaria e dirompente. Il tratto grafico di Kamimura, elegante e delicato, si unisce a contenuti profondamente legati alla società giapponese, con un focus particolare sulla condizione della donna nelle varie ere della storia nipponica. Kamimura racconta l’erotismo e rappresenta il sesso come strumento di scoperta carico di piacere e dolore allo stesso tempo e come lente di ingrandimento dell’animo umano. Le sue eroine così forti e indipendenti, sempre in bilico tra vittime e carnefici, hanno reso Kamimura e le sue opere un classico del fumetto mondiale. Grazie all’impegno e alla passione di Paolo La Marca, Livio Tallini e di Coconino Press, queste opere straordinarie sono ora accessibili al pubblico italiano.
Come nasce l’idea di portare sul mercato fumettistico italiano il gekiga?
Livio Tallini: Ciao Valerio, grazie per averci ospitati qui. Quando nel 2004 Coconino Press portò in libreria Lampi di Tatsumi Yoshihiro, ciò che sembrava un’anomalia nel mercato manga italiano era in realtà un passaggio coerente e dovuto: se la mission è di pubblicare il meglio del fumetto adulto mondiale, non si poteva prescindere dal Giappone (tra i paesi con la maggiore cultura e offerta fumettistica) e i nomi per inaugurare l’operazione non erano troppi. Tatsumi Yoshihiro era il naturale affaccio verso un panorama allora sconosciuto e inesplorato. La narrazione drammatica, il disegno oscuro e neorealista, un modo di intendere il fumetto così lontano dalle influenze disneyane di Tezuka Osamu o dalla lotta sociale tipica di Shirato Sanpei, facevano di lui l’ideale ponte tra la cultura occidentale e la narrativa a fumetti orientale. Possiamo rintracciare in Lampi il vero seme germinante di quello che negli anni divenne un tema di ricerca anche per altri editori: piccoli germogli che hanno finalmente permesso, anni dopo, la nascita di una collana tematica che traducesse altri capolavori di grandi autori. È importante sottolineare che in Italia già esisteva qualche sporadica incursione nel gekiga, ma lungi dall’approfondimento storico e bibliografico che meritava. Citiamo Golgo 13, di cui alcuni capitoli apparvero a puntate negli anni ’80 su «Eureka», ma anche la pubblicazione di Lupin III per Star Comics, o Lone Wolf and Cub per Panini. La differenza, secondo me, è stata nel progetto editoriale. Con Golgo 13, il tentativo era di trovare la versione orientale del nostrano Diabolik. Su Lupin III si cavalcava la consolidata tradizione di portare in edicola libri con una trasposizione anime conosciuta. Tatsumi, al contrario, giunse in libreria in un’edizione mirata ai lettori di graphic novel, con l’intento di sondare un importante tranche di mercato finora inesplorato, scoprire un linguaggio inedito, permettere al lettore di uscire dalla comfort zone. È incredibile che, a distanza di anni, le scelte mirate del passato abbiano dato sempre più spazio a libri e autori che possiamo agilmente trovare oggi tra gli scaffali delle librerie italiane.
Cosa ne pensate del mercato fumettistico italiano e di come si è evoluto nel tempo? Secondo voi esiste oggi un pubblico pronto ad accogliere capolavori assoluti di quest’arte come quelli del maestro Kamimura pubblicati per Coconino?
Livio Tallini: Parlando di numeri, sicuramente c’è una separazione importante tra le vendite di opere contemporanee e popolari e il recupero storico di capolavori del passato. Probabilmente questo riguarda anche la letteratura, e credo sia una regola applicabile ad altre forme artistiche quali cinema e musica. Ciò premesso, è innegabile che alcuni autori riescano a creare dei piccoli episodi di popolarità inattesi. Un fenomeno che meriterebbe più attenzione: incredibilmente, chi ha voglia di freschezza e originalità in una storia sempre più spesso si trova a scegliere tra uno dei nostri titoli d’annata. Tra scaffali saturi di titoli copia-incolla e successi commerciali confezionati in laboratorio, abbiamo riscontrato che molti lettori hanno ritrovato il piacere della lettura proprio scegliendo un libro selezionato dal nostro catalogo. E questo conferma la validità di un pensiero diffuso: quando un’opera riesce a vincere la prova del tempo e superare indenne le mode e le tendenze, allora abbiamo tra le mani un vero capolavoro. Kamimura Kazuo è stato un po’ un unicum nel suo genere. I suoi libri continuano ad appassionare e incuriosire nuove schiere di lettori, e le ragioni sono presto dette: a mio avviso, l’appeal grafico dei suoi libri ha sicuramente saputo rompere il ghiaccio rispetto ai lavori di molti suoi contemporanei. Inoltre, la grande varietà di temi e generi che riusciva ad affrontare, e che sono state di ispirazione per innumerevoli artisti (un nome su tutti, Quentin Tarantino con il suo Kill Bill). Infine, il lavoro di curatela sui suoi libri (postfazioni e contenuti extra) a cura di Paolo La Marca, vero e proprio esperto mondiale dell’autore e della sua produzione, hanno saputo creare un vero progetto editoriale, ciò che di fatto costituisce la differenza e ciò che proviamo ad applicare a tutti i nostri autori, esordienti o meno.
Come viene percepito il movimento gekiga oggi in Giappone? Il mercato giapponese oggi che grado d’importanza attribuisce a quel periodo culturale e artistico della sua storia?
Paolo La Marca: Sembra quasi paradossale ma, oggi come oggi, il movimento gekiga e le sue opere hanno più risonanza all’estero che non in Giappone. In Europa – e mi riferisco soprattutto al mercato francese, italiano e, più recentemente, anche a quello spagnolo – il termine di gekiga è conosciuto perfino dai giovani lettori (che, almeno in teoria, non rappresenterebbero il target originario di queste produzioni a fumetti), mentre in Giappone sono davvero pochi gli adolescenti che sanno cosa sia e cosa abbia rappresentato il gekiga per il fumetto giapponese. Il mercato editoriale giapponese di manga (e includo anche i suoi lettori) tende a proiettarsi verso il futuro, alle novità, senza quasi mai provare a voltarsi indietro per riscoprire, ad esempio, il proprio passato editoriale. Un vero e proprio tesoro. Molti grandi autori degli anni Sessanta e Settanta (compreso Kamimura) non vengono più pubblicati in formato cartaceo dai grandi editori. Molte delle sue opere non sono mai state pubblicate in formato monografico, altre ancora sono state pubblicate soltanto all’estero e non in Giappone. Mi vengono in mente le edizioni italiane di Tredici notti di rancore (che è servita come modello per l’edizione francese dal titolo Treize nuits de vengeance) e Love, pubblicata da Coconino Press nella sua primissima edizione a cinquant’anni dalla sua originaria pubblicazione su rivista in Giappone nel 1973. La scarsa diffusione e pubblicazione di opere appartenenti al movimento gekiga da parte degli editori giapponesi di oggi può essere attribuita a diversi fattori storici e culturali. Innanzitutto, il gekiga è nato come un movimento alternativo rispetto ai manga tradizionali, proponendo narrazioni più mature, realistiche e spesso cupe, destinate a un pubblico adulto. Questo tipo di storie non si adatta, forse, ai gusti del mercato di massa giapponese contemporaneo, che preferisce contenuti più leggeri e orientati all’intrattenimento. In fin dei conti, l’editoria ha sempre premiato opere con un potenziale commerciale più elevato, soprattutto quelle capaci di attrarre un pubblico giovane e generare vendite più consistenti, sia attraverso i manga sia attraverso le loro trasposizioni in altri media, come anime e merchandising. Le tematiche di alcuni gekiga, spesso incentrate su questioni sociali, politiche o esistenziali, erano (e sono) percepite come meno vendibili. Infine, non bisogna trascurare un fattore di tipo “tecnico”: negli anni Sessanta/Settanta la fruizione del manga era su rivista e il passaggio in tankōbon (volume monografico) spettava solo ad alcuni titoli mainstream di autori già affermati o estremamente popolari. Ripubblicare oggi opere apparse su riviste negli anni Settanta (di cui probabilmente non esistono più le tavole originali) comporterebbe una lavorazione più lunga e dispendiosa dovuta ai materiali scadenti (carta e inchiostri) con cui venivano realizzate le riviste.
Una delle cose che mi ha sempre affascinato delle case editrici del settore è la figura dello “scout”. Questo lavoro comporta la scoperta di perle nascoste e la valutazione della loro possibile accoglienza nel panorama locale. Come funziona questa attività?
Livio Tallini: impostare un catalogo, un’identità editoriale, è una sfida e un piacere. Io e Paolo siamo in primis lettori, appassionati. Siamo con un occhio sulle novità, sugli autori esordienti più interessanti, ed uno sul passato, sui maestri che hanno lasciato una traccia indelebile. Quando si parla di grandi nomi del passato, quali Taniguchi Jirō o Kamimura Kazuo, lo scouting può essere più facile: possiamo prevedere l’accoglienza del pubblico più facilmente, in quanto i lettori sono più propensi ad acquistare opere di un autore conosciuto. La vera sfida è scommettere sui big del futuro. Quando leggiamo un’opera, cerchiamo di individuarne il possibile collocamento commerciale: esiste qualcosa del genere, in Italia? Come può essere accolta? È affine al catalogo Coconino, può essere valorizzata da noi meglio che da altri, che edizione intendiamo proporre? Il vero rischio che si corre è quello di bruciare un autore. Preparare il terreno, spiegare ai lettori che stiamo seguendo un percorso, cercare di curare anche il background di un’opera (con l’ausilio di postfazioni, contenuti extra, interviste, …) è uno step fondamentale e imprescindibile, per noi. In sintesi… scegliere e pubblicare un ottimo libro non è sufficiente se poi in libreria non ha una collocazione, se il lettore non ne conosce l’esistenza o non ne riconosce l’importanza, se viene sommerso e fagocitato dalla montagna di nuove uscite e, infine, se il lettore non è guidato alla scelta nel mare magnum delle proposte.
Negli ultimi decenni, il fumetto underground giapponese ha subito molte trasformazioni. Potrebbe raccontarci come è cambiato nel corso degli anni? Esiste ancora oggi un mercato libero per queste opere, indipendente dalle dinamiche commerciali e dalle imposizioni delle grandi case editrici, dove gli autori possono esprimere la loro creatività senza vincoli?
Paolo La Marca: Negli ultimi decenni, il fumetto underground giapponese ha subito cambiamenti significativi, soprattutto a causa dell’evoluzione del mercato editoriale e delle nuove dinamiche commerciali. Se negli anni ’60 e ’70 movimenti come il gekiga e altri fumetti alternativi riuscivano a trovare uno spazio creativo relativamente libero, oggi la situazione è molto diversa. Le regole imposte dalle grandi case editrici sono diventate sempre più restrittive, con una maggiore attenzione al successo commerciale e alla capacità di attrarre un pubblico di massa. Questo ha limitato in parte la sperimentazione e la creatività degli autori, che devono spesso adeguarsi a linee editoriali precise e standard di vendibilità. Le grandi case editrici tendono a investire su opere che garantiscano un ritorno economico sicuro, limitando la pubblicazione di fumetti sperimentali o troppo di nicchia. Sebbene esistano ancora piccoli editori indipendenti (come Ohta Shuppan) e piattaforme online che offrono agli autori la possibilità di esprimersi senza vincoli, questi spazi sono sempre più marginali rispetto al mainstream. Il mercato libero e realmente indipendente esiste, ma è spesso relegato a circuiti ristretti e faticano a emergere opere che rompano con le convenzioni dominanti. I grandi editori tendono a presentare opere che possano essere pubblicate senza problemi all’estero, favorendo manga rassicuranti e meno controversi possibili. Furuya Usamaru, autore internazionale di grande successo, si è visto rifiutare un manga – peraltro bellissimo – da parte di una grande casa editrice perché il numero di pagine contenente scene di sesso era superiore a dieci. Per fortuna, questo fumetto verrà pubblicato presto in Italia da Coconino Press.
Qual è il ruolo attribuito da Kazuo Kamimura alla sessualità femminile nella società giapponese, e come si è evoluto questo ruolo oggi? In che modo le donne hanno contribuito alla realizzazione delle opere di Kazuo Kamimura?
Paolo La Marca: Kamimura ha attribuito alla sessualità femminile un ruolo centrale nelle sue opere, utilizzandola come lente per esplorare le dinamiche sociali e culturali della società giapponese. Nei suoi manga, la sessualità femminile è spesso rappresentata in modo complesso, rivelando la condizione di vulnerabilità e potere che le donne possono vivere in una società patriarcale. Kamimura ha descritto le donne non solo come oggetti di desiderio, ma anche come individui in grado di affermare la propria identità e autodeterminazione attraverso la sessualità, pur consapevoli delle costrizioni sociali a cui sono sottoposte. Mi vengono in mente i personaggi di Kyōko in L’età della convivenza, di Oshichi in Folli Passioni, di Sumire in Sumire hakusho. In molte delle sue opere, Kamimura ha sottolineato come molte donne fossero intrappolate in ruoli tradizionali e limitanti, ma allo stesso tempo ha dato voce a figure femminili capaci di trasformare la propria condizione, resistendo agli schemi imposti. Per quanto riguarda il contributo delle donne alle opere di Kamimura, non è tanto una partecipazione diretta, ma piuttosto una rappresentazione empatica e rispettosa della loro condizione. Kamimura è stato un acuto osservatore del mondo femminile sin dalla sua più tenera età, anche grazie al fatto che era nato e cresciuto in un ambiente esclusivamente femminile (una madre e due sorelle). Le donne sono, dunque, l’elemento imprescindibile delle sue opere: sono al centro delle sue narrazioni, e le loro storie riflettono una profonda comprensione della complessità femminile in una società in cambiamento.
Il tratto di Kamimura Kazuo è estremamente elegante, ho sempre pensato che l’abilità nel generare punti luce, anzi controluce, che illuminano da dentro le azioni dei personaggi, siano uno dei suoi tratti distintivi. La chiave pittorica per generare un segno carico di sensualità e di trasmettere dolore e piacere allo stesso tempo. Quali sono state, secondo voi, le fonti di Kamimura e da dove ha tratto ispirazione sull’utilizzo della luce e della costruzione scenica delle tavole?
Paolo La Marca: Kamimura ha tratto ispirazione da diverse fonti artistiche e culturali per sviluppare il suo tratto elegante e la sua particolare sensibilità nell’uso della luce, del controluce e della composizione scenica. Una delle sue principali influenze è stata sicuramente l’arte ukiyo-e, con la sua attenzione per il dettaglio, la bellezza effimera e la delicatezza delle linee. Kamimura, come i maestri dell’ukiyo-e (Hokusai e Utamaru su tutti), sapeva trasmettere emozioni profonde attraverso immagini stilizzate e raffinate, creando atmosfere di grande intensità.
Un’altra fonte cruciale per Kamimura è stata l’estetica romantica di Takehisa Yumeji, un artista che ha saputo fondere lirismo e malinconia nelle sue rappresentazioni di donne. Da Yumeji, Kamimura ha ereditato la capacità di rappresentare la femminilità con un tocco sensuale e struggente, riuscendo a trasmettere al contempo bellezza e dolore attraverso le sue figure femminili.
Inoltre, il cinema, in particolare quello di Ozu Yasujirō, ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione delle tavole di Kamimura. Ozu è noto per l’uso statico della telecamera, le inquadrature raffinate e l’attenzione per i dettagli quotidiani, che evocano intimità e profondità emotiva. Kamimura ha assorbito questa lezione cinematografica, utilizzando inquadrature “cinematiche” nelle sue tavole, dove la composizione è studiata per catturare le emozioni silenziose dei personaggi, spesso in scene di quieta introspezione. Infine, anche la fotografia ha influenzato profondamente Kamimura, soprattutto nell’uso dei giochi di luce e ombra per enfatizzare le emozioni. Come un fotografo, Kamimura utilizza la luce per delineare i volti, i corpi e le azioni dei suoi personaggi, creando un effetto di chiaroscuro che enfatizza il dramma interiore delle sue figure. Il controluce, in particolare, è una tecnica che utilizza per rendere palpabile il contrasto tra dolore e piacere, conferendo un’aura quasi eterea ai suoi personaggi.
In molte tavole di Kamimura l’utilizzo della luce non solo accompagna il momento erotico ma sembra volerlo avvalorare caricandolo di significato. Che ruolo aveva la luce nei suoi lavori?
Livio Tallini: Kamimura Kazuo è stato un autore straordinario per innumerevoli aspetti. Grande appassionato di cinema, fotografia e arti visive, egli stesso ha iniziato i suoi studi e la sua carriera professionale come illustratore e pubblicitario. Le tavole dei suoi fumetti respirano una originalità tutta sua: ben lontane dalla gabbia rigida del fumetto anni ’70, le sue tavole a volte si convertono in storyboard, o ancora in ampi schermi cinematografici dove si visualizza vero e proprio cinema su carta. Basta sfogliare uno qualsiasi dei sui libri per visualizzare la scansione temporale raccontata da due o tre vignette in successione, dove un piccolo istante è narrato con dettagli e leggerissimi movimenti. Un’azione può svolgersi dal crepuscolo al tramonto, per poi lasciare spazio alla notte: sappiamo che in quel frammento di vita è racchiuso un momento importante nella narrazione, e che risulta dilatato dalla suddivisione in frame che congelano l’azione. L’incedere del tempo è magistralmente suggerito dal cambio di luci, dal retino che abbassa la luminosità sulla scena, da ultimi frammenti di chiarore portati in campo da una lucciola o una fiammella. La scenografia partecipa all’azione: il vento è disegnato da ombrelli che volano trascinati dalla tempesta, o dai fili d’erba scossi dalla brezza primaverile. La luce può non essere naturale ma scenica, e illuminare dal basso verso l’alto un volto spettrale nella penombra, o lateralmente il profilo di due giovani amanti nascosti dietro un pannello scorrevole. Sono tavole ricche di pathos e di cura cinematografica, dove il narrato passa più attraverso la rappresentazione dell’immagine che dallo scambio di battute, offrendo ai lettori delle vere e proprie esperienze immersive.
Nello specifico, ci potreste descrivere l’utilizzo che Kamimura ha fatto della luce nella tavola da noi scelta?
Livio Tallini: Quando la redazione di Eki ci ha proposto l’acquisizione dei diritti per questa tavola, sono rimasto piacevolmente colpito dalla scelta. Il materiale era pressoché illimitato, e la scelta finale è originale e non convenzionale. Proviamo a studiarla (ricordando ai lettori che la lettura avviene da destra verso sinistra). Lo spazio è suddiviso in tre tranche. Una gabbia centrale, delimitata da due frame innaturalmente slanciati. L’azione è ospitata quindi tra due “totem” che ci informano in primis della location (esterno, prato) ma anche della scansione temporale, la durata dell’azione (la cui luminosità quasi zenitale gradualmente sfuma verso il tramonto). Non siamo certo di fronte alla classica gabbia da fumetto, e ad una prima occhiata questa può apparire come un’illustrazione dinamica, uno storyboard. Nella prima vignetta, abbiamo una soggettiva dal punto di vista della protagonista, sdraiata sul prato: la luce è naturale, è un pomeriggio. Il sole filtra attraverso le foglie degli arbusti che delimitano la scena, brucia il focus e costringe il resto dell’inquadratura a contrastare virando verso il nero. L’ultima vignetta, invece, dipinge lo stesso sole ma infuocandolo. Quest’ultimo non è più oltre le chiome degli alberi, ma si abbassa apprestandosi a scomparire. È un tramonto, una giornata che volge al termine. Al centro di questa composizione può quindi svolgersi l’azione: sono quattro frame di interazione romantica e carnale, con almeno tre punti di vista differenti. Le ombre non sono nette, come suggerisce la prima vignetta, né la luce è bassa, come suggerisce l’ultima. È un’illuminazione morbida, da primo pomeriggio: l’azione si colloca, temporalmente, esattamente a metà tra questi due momenti. In sei vignette abbiamo dunque una narrazione che copre metà giornata, ci suggerisce lo scorrere del tempo e ci fa immaginare cosa avviene tra le righe non esplicitate nella narrazione. Il tutto, vorrei sottolineare, senza l’utilizzo di una sola parola…